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RESPONSABILITÀ DELLA STRUTTURA SANITARIA PER I DANNI DA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE E PER IL DANNO DA PERDITA DI CHANCE DI SOPRAVVIVENZA.

Con la sentenza 493/2022 il Tribunale di Venezia ha deciso la vertenza promossa dal figlio e dalla nuora di una paziente di un istituto di neuroriabilitazione a seguito del decesso della medesima in conseguenza di complicazioni infettive in un contesto patologico già compromesso.

Il Tribunale, anche alla luce delle norme di cui alla Legge Gelli-Bianco n. 24/2017, afferma preliminarmente che la responsabilità della struttura sanitaria nella fattispecie deve necessariamente considerarsi extracontrattuale, in quanto il rapporto contrattualmente garantito è unicamente quello intercorrente tra paziente e struttura (rilevante in relazione all’eventuale domanda di risarcimento del danno jure hereditatis). Con la conseguenza che il nesso di causa tra la condotta dei sanitari e l’evento di danno accertato debba essere sottoposto alle ordinarie regole civilistiche sul riparto dell’onere della prova, gravante nella fattispecie in capo agli attori.

Se, quindi, al termine dell’istruttoria risulti incerta la causa del danno, essendo questo elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano sull’attore, pur sempre con la “temperanza” del principio giuridico della preponderanza dell’evidenza, che consente, anche in questo caso, di ritenere provato il fatto più probabile.

Nel merito della vicenda, il Tribunale ripercorre gli accertamenti resi dal Consulente d’Ufficio, che aveva confermato una certa superficialità dei sanitari nella gestione degli episodi settici che avevano colpito la paziente, con ritardi diagnostici e terapeutici. In particolare, il secondo episodio settico, probabile recidiva del primo non adeguatamente trattato, veniva approcciato con una emocoltura tardiva e la somministrazione di antibiotico non propriamente indicato. A fronte, quindi, dell’accertata omissione da parte dei sanitari, il CTU non è stato in grado di affermare che un diverso approccio di cura avrebbe portato ad un esito diverso e migliore per la paziente che, come già precisato, presentava, al momento del ricovero e nei successivi mesi, un quadro clinico assai compromesso.

Non risulta dimostrato, in altre parole, che il comportamento scorretto dei sanitari abbia cagionato autonomamente la morte della paziente, ovvero ne abbia anticipato il sopravvenire.

In definitiva, dunque, il CTU afferma che l’omissione diagnostica e terapeutica ha causato una mera perdita di chances di sopravvivenza della paziente, ponendo in nesso di causa l’operato negligente dei sanitari con la mera possibilità della paziente di vivere più a lungo.

Il compromesso quadro clinico della paziente la avrebbe continuamente esposta al rischio infettivo, polmonare, sistemico e circolatorio.

La differenza di inquadramento della fattispecie tra le risultanze della CTU e le allegazioni di parte attrice, quindi, è significativa anche se sottile: le conseguenze del comportamento omissivo dei sanitari si sono limitate ad una diminuzione delle possibilità di sopravvivenza della paziente, mentre gli eredi hanno svolto la propria domanda risarcitoria configurando le conseguenze dell’inadempimento quale riduzione significativa della vita della paziente, di talché il danno profilabile nel caso specifico va sussunto nella fattispecie del danno da perdita di chance, posto che le conclusioni della CTU risultano espresse in termini di insanabile incertezza rispetto all'eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze.

La domanda di risarcimento del danno iure proprio, quindi, non è stata accolta, dal momento che il petitum poggia sul dedotto danno da perdita del rapporto parentale e non sul danno da perdita di chance di godere del rapporto parentale. Per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno jure hereditario, il Tribunale ha rilevato che risulta assente la prova di sussistenza di nesso di causa tra la condotta omissiva dei sanitari ed il peggioramento delle condizioni di salute della paziente, alla luce del quadro clinico fortemente compromesso (anche dal punto di vista intellettivo) già al momento del ricovero, risultando chiaro che i fatti dedotti non incisero in alcun modo sulle capacità e possibilità di miglioramento del suddetto quadro clinico.

Tale pronunzia, quindi, si incanala nel solco tracciato dalla Sentenza 28993/2019 della Suprema Corte di Cassazione.

Alla luce dei principi esposti, la Corte di Legittimità afferma come necessaria una preventiva disamina del comportamento eventualmente negligente dei sanitari nonché, con assoluto rigore scientifico, l’accertamento della sussistenza di nesso di causa tra la condotta e l’evento di danno. La Chance rappresenta l’incertezza del risultato: il danno coincide con la perdita della possibilità di ottenere quel risultato.

La Corte, quindi, elenca le possibili fattispecie di danno in cui sia ravvisabile una perdita di chance:  

1. La condotta colpevole del sanitario, commissiva o omissiva, ha provocato la morte del paziente; se il medico avesse adottato il comportamento corretto (ad esempio, una diagnosi tempestiva), il malato sarebbe guarito. Pertanto, vi è una situazione di certezza. In tal caso, l’evento è conseguenza a) della malattia preesistente, b) della condotta colposa del medico. Il sanitario, quindi, è tenuto a rispondere del danno biologico, del danno da lesione del rapporto parentale cagionato ai familiari, ma non della perdita di chance, giacché si registra una situazione di certezza.

2. La condotta colpevole del sanitario, commissiva o omissiva, non ha provocato la morte del paziente (che sarebbe avvenuta comunque), ma una riduzione della sua vita e un peggioramento della qualità della stessa. Il medico risponde del danno coincidente con la perdita anticipata della vita, il pregiudizio non integra una perdita di chance, ma la consapevolezza di aver vissuto meno a lungo, patendo maggiori sofferenze.

3. La condotta colpevole del sanitario non ha inciso sulla malattia o sulla sua durata né sulla morte, ma solo sulla qualità deteriore della vita del paziente; anche in questo caso non si palesa una perdita di chance, ma eventualmente una lesione del diritto all’autodeterminazione. Infatti, il paziente che, ad esempio, abbia ricevuto un’errata diagnosi, non ha perso la chance di conseguire un risultato migliore (come la guarigione o la sopravvivenza più lunga, con minori patimenti); al contrario, gli è stato negato il diritto di autodeterminarsi; ossia di scegliere liberamente come comportarsi se avesse avuto la consapevolezza delle proprie condizioni di salute (Cass. 7260/2018).

4. La condotta del sanitario, seppur colposa, non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata e sulla qualità della vita; pertanto, il medico non risponde.

5. La condotta del medico ha cagionato un evento di danno incerto: è impossibile accertare se, in assenza del comportamento del sanitario, lo sviluppo della malattia sarebbe stato più lento, la vita sarebbe durata maggiormente e con minori sofferenze. Tale incertezza (detta “incertezza eventistica”) è la sola che consente di parlare di perdita di chance. Il suddetto pregiudizio «sarà risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta - se provato il nesso causale, secondo gli ordinari criteri civilistici tra la condotta e l'evento incerto (la possibilità perduta) - ove risultino comprovate conseguenze pregiudizievoli (ripercussioni sulla sfera non patrimoniale del paziente) che presentino la necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza».

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